Corte di Cassazione, Sezione 3 civile
Sentenza 31 marzo 2016, n. 6213
Data udienza 11 gennaio 2016
IGIENE E SANITA’ – RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE
sul ricorso 25367-2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ difeso per legge;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 753/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 08/11/2012, R.G.N. 623/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/01/2016 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
I FATTI
In data 31.1.2002 (OMISSIS) convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce il Ministero della Salute, assumendo di essere affetta dalla nascita da “Beta Talassemia maior”, di essersi per questo motivo dovuta sottoporre a numerose trasfusioni presso strutture pubbliche e private, e di aver contratto il virus dell’epatite C in conseguenza di una delle trasfusioni, nonche’ di aver presentato richiesta di indennizzo ex lege n. 210 del 1992 nel 1993. Chiese la condanna del Ministero al risarcimento dell’intero danno subito; il Ministero eccepi’ l’inammissibilita’ della domanda per aver la danneggiata gia’ visto riconosciuto il suo diritto al pagamento dell’indennizzo, nonche’ l’intervenuta prescrizione.
Il Tribunale di Lecce nel 2009 rigettava la domanda dell’attrice per essere maturata, al momento della proposizione della domanda giudiziale, la prescrizione quinquennale. La pronuncia veniva confermata dalla Corte d’Appello di Lecce con la sentenza qui impugnata.
(OMISSIS) propone un unico, articolato motivo di ricorso per cassazione nei confronti del Ministero della Salute, per la cassazione della sentenza n. 753/2012, depositata dalla Corte d’Appello di Lecce in data 8.11.2012.
Resiste con controricorso il Ministero della Salute.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo dedotto, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2935, 2943, 2946 e 2947 c.c., dell’articolo 112 c.p.c. nonche’ denuncia l’insufficiente analisi dei fatti e circostanze decisivi ai fini della risoluzione della controversia.
Il profilo del vizio di motivazione, in relazione al quale si richiama una nozione di vizio di motivazione non piu’ vigente al momento della proposizione del ricorso, non e’ sviluppato nel ricorso.
In relazione alla dedotta violazione di legge, la ricorrente sostiene, con numerose argomentazioni, che la sentenza impugnata abbia errato laddove, richiamando pedissequamente i principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di durata e decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento del danno da emotrasfusioni, ha rigettato la sua domanda in quanto prescritta. La sentenza impugnata non avrebbe rispettato i principi sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e in particolare l’articolo 1 del protocollo 1 che esige che l’ingerenza dell’Autorita’ pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia effettuata in modo legale ed ancora che, come affermato da alcune pronunce della CEDU, per potersi avere il decorso del termine di accesso ad un’azione gli interessati devono essere stati posti in grado di avere conoscenza dei loro diritti e questi diritti non devono essere stati compressi eccessivamente. Rileva anche che l’indennizzo nella sua versione originaria aveva natura piu’ simile ad un risarcimento che a una tutela indennitaria, per cui ai danneggiati non risultava chiaro, e non e’ stato chiaro fino a tempi recenti, che si potessero cumulare le due forme di tutela e quindi lamenta che riconducendo il dies a quo della prescrizione del diritto risarcitorio alla proposizione della domanda di indennizzo la ricorrente sia rimasta priva della possibilita’ di accedere ad una riparazione integrale del danno. Argomenta inoltre, riportando passi di una inchiesta penale, sulla configurabilita’ del reato ipotizzabile in termini di epidemia colposa, e non di semplici lesioni colpose, in ragione della diffusivita’ del contagio ad un numero indeterminato di persone, con conseguente applicabilita’ del piu’ lungo termine di prescrizione.
Si tratta di questione ben nota, gia’ piu’ volte esaminata e decisa sulla base di un principio di diritto al quale i giudici di merito si sono correttamente uniformati, rispetto al quale il ricorso ripropone argomentazioni anch’esse gia’ note, esaminate e superate dalla giurisprudenza di questa Corte.
Il ricorso va pertanto rigettato, essendosi i giudici di merito correttamente uniformati al seguente principio di diritto: responsabilita’ del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HPV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi e’ di natura extracontrattuale, ne’ sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime); ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo e’ soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma dell’articolo 2955 c.c. e articolo 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensi’ da quello in cui tale malattia viene percepita o puo’ essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, da ritenersi coincidente non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, articolo 4 ma con la proposizione della relativa domanda amministrativa, che attesta l’esistenza, in capo all’interessato, di una sufficiente ed adeguata percezione della malattia” (Cass. n. 28464 del 2013; Cass. S.U. n. 576 del 2008).
In ragione della particolarita’ della questione e della indicata pendenza di trattative per concludere una transazione sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti.
Atteso che il ricorso per cassazione e’ stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza della ricorrente, che pero’ risulta ammessa al gratuito patrocinio, la Corte, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della insussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Da’ atto della insussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.