Con la sentenza n. 41994 del 30 dicembre 2021, la Suprema Corte di Cassazione ha messo fine ad una vicenda che negli anni ha creato non poche difficoltà sia in dottrina che, ancor più, in giurisprudenza.
La questione è ampiamente nota: nel 2003, ad opera dell’Associazione Bancaria Italiana, venne predisposto in materia di fideiussione uno schema contrattuale contenente tuttavia clausole ritenute successivamente, dalla Banca d’Italia e dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, contrastare con la Legge 287/1990 (c.d. normativa antitrust); in particolare, le clausole che riproducevano gli artt. 2, 6, 8 dello schema ABI, qualora utilizzate in modo uniforme dagli Istituti bancari nei rapporti con la clientela, erano da ritenersi nulle in quanto configgenti con l’art. 2, co. 2, della summenzionata legge.
Tale conclusione ha dato vita a ben tre differenti correnti di pensiero, di seguito sintetizzate, con inevitabili effetti sul piano della cd. (in)certezza del diritto: a) il contratto “a monte” (da garantire) e quello “a valle” (la fideiussione) rimangono entità distinte ed indipendenti, prevedendosi quindi per il soggetto danneggiato dalla condotta anticoncorrenziale unicamente la possibilità di una tutela risarcitoria; b) in presenza delle clausole de quibus si verifica tout court la nullità dell’intera fideiussione; c) salomonicamente, attesa l’illiceità delle clausole incriminate, saranno colpite da nullità solamente queste ultime.
La soluzione proposta dalle Sezioni Unite, alla luce delle finalità e della ratio ispiratrice della normativa in discussione, in un’ottica di conservazione degli effetti degli atti giuridici ed avuto riguardo al necessario contemperamento degli interessi in gioco, va quindi individuata nella previsione di nullità parziale del contratto fideiussorio, conformemente al principio di diritto dettato: “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la L. n. 287 del 1990, articolo 2, comma 2, lettera a) e articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell’articolo 2, comma 3 della Legge succitata e dell’articolo 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti” (ipotesi, quest’ultima, intuitivamente residuale).
Pertanto la dichiarazione di nullità parziale, ferma restando la validità della fideiussione, lascerà aperta per chi ha prestato la garanzia esclusivamente la possibilità di ricorrere ai rimedi previsti dal codice civile, ovvero “… l’imprescrittibilità dell’azione di nullità … e la proponibilità della domanda di ripetizione dell’indebito ex articolo 2033 c.c., ricorrendone i relativi presupposti … , nonché dell’azione di risarcimento dei danni”. Questi ultimi, tuttavia, dovranno essere riferiti ai pregiudizi sostenuti e provati dal soggetto – fideiussore – derivanti dalle illecite intese anticoncorrenziali sanzionate con la nullità parziale che, nel caso, ha appunto colpito gli artt. 2, 6, 8 dello schema ABI poi ricalcato dai diversi Istituti di credito nella redazione dei relativi schemi di fideiussione. Comprendendosi, quindi, la peculiare rarità di una tale possibile allegazione e dimostrazione.