Con sentenza n. 8770/2018, depositata il 22 febbraio, le Sezioni Unite penali della Suprema Corte hanno reso note le motivazioni in base alle quali è stato esaminato e risolto il contrasto giurisprudenziale in materia di responsabilità medica.
La questione di diritto portata all’attenzione della Corte era la seguente: “Quale sia, in tema di responsabilità colposa dell’esercente la professione sanitaria per morte o lesioni, l’ambito applicativo della previsione di “non punibilità” prevista dall’articolo 590-sexies cod. pen., introdotta dalla L. 8 marzo 2017, n. 24″.
Nelle sentenze all’origine del contrasto (n. 28187 del 7 giugno 2017, De Luca – Tarabori; n. 50078 del 31 ottobre 2017, Cavazza) il Collegio, dopo aver ravvisato elementi apprezzabili, individua le criticità evidenziate dalle medesime: in sintesi, si evidenzia come “… manchi una sintesi interpretativa complessiva capace di restituire la effettiva portata della norma in considerazione” (ovvero la L. 24/2017, c.d. Gelli-Bianco). Richiamato l’art. 12 preleggi, viene ricordato che “… la ricostruzione del sistema di esenzione da pena della legge Gelli-Bianco usufruisce in maniera consistente del dibattito già avviato su temi affacciatisi alla disamina della giurisprudenza e della dottrina in relazione al decreto Balduzzi …”.
Infatti, già da quest’ultimo si individuava nelle linee guida, e nella corretta applicazione delle medesime, lo strumento utile a contrastare l’abnorme crescita delle richieste di risarcimento per colpa medica ed il conseguente ricorso alla c.d. medicina difensiva.
La prima delle sentenze in esame, sottolineano le SS.UU., esprimeva una interpretazione che di fatto abrogava la norma, “… giungendo alla frettolosa conclusione circa l’impossibilità di applicare il precetto, negando addirittura la capacità semantica della espressione “causa di non punibilità” …”.
Le seconda cadeva invece nell’eccesso opposto, conferendo alla norma una estensione spropositata, finendo per “… rendere non punibile qualsiasi condotta imperita del sanitario che abbia provocato la morte o le lesioni, pur se connotata da colpa grave. E ciò, sul solo presupposto della corretta selezione delle linee-guida pertinenti in relazione al caso di specie …”.
In sintesi, “… non può non riconoscersi che il legislatore ha coniato una inedita causa di non punibilità per fatti da ritenersi inquadrabili – per la completezza dell’accertamento nel caso concreto – nel paradigma dell’articolo 589 o di quello dell’articolo 590 cod. pen., quando l’esercente una delle professioni sanitarie abbia dato causa ad uno dei citati eventi lesivi, versando in colpa da imperizia e pur avendo individuato e adottato, nonché, fino ad un certo punto, bene attualizzato le linee-guida adeguate al caso di specie …”.
In ogni caso, l’assenza nel testo di legge di un richiamo esplicito alla “colpa lieve” non vieta di farvi riferimento: “… La ricerca ermeneutica conduce a ritenere che la norma in esame continui a sottendere la nozione di “colpa lieve”, in linea con quella che l’ha preceduta e con la tradizione giuridica sviluppatasi negli ultimi decenni. Un complesso di fonti e di interpreti che ha mostrato come il tema della colpa medica penalmente rilevante sia sensibile alla questione della sua graduabilità, pur a fronte di un precetto, quale l’articolo 43 cod. pen., che scolpisce la colpa senza distinzioni interne …”. Inoltre,”… è da condividere l’assunto consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione sulla gravità della colpa (generica) debba essere effettuata “in concreto”, tenendo conto del parametro dell’homo eiusdem professionis et condicionis, che è quello del modello dell’agente operante in concreto, nelle specifiche condizioni concretizzatesi …”.
Per quanto attiene al problema dell’individuazione (ed applicazione) della legge più favorevole, l’art. 3 L. 189/2012 “… risulta più favorevole in relazione alle contestazioni per comportamenti del sanitario – commessi prima della entrata in vigore della legge Gelli-Bianco – connotati da negligenza o imprudenza, con configurazione di colpa lieve, che solo per il decreto Balduzzi erano esenti da responsabilità quando risultava provato il rispetto delle linee-guida o delle buone pratiche accreditate”; inoltre, “… l’errore determinato da colpa lieve, che sia caduto sul momento selettivo delle linee-guida e cioè su quello della valutazione della appropriatezza della linea-guida era coperto dalla esenzione di responsabilità del decreto Balduzzi … mentre non lo è più in base alla novella che risulta anche per tale aspetto meno favorevole …”; infine, “… l’errore determinato da colpa lieve nella sola fase attuativa andava esente per il decreto Balduzzi ed è oggetto di causa di non punibilità in base all’articolo 590-sexies, essendo, in tale prospettiva, ininfluente … la qualificazione giuridica dello strumento tecnico attraverso il quale giungere al verdetto liberatorio …”.
Le conclusioni a cui è pervenuta la Corte offrono una interpretazione conforme ai precetti costituzionali ed enucleano il significato che risulta più rispondente al testo normativo (tenendo conto degli obiettivi esplicitamente perseguiti dal Parlamento); costituiscono pertanto un arresto difficilmente superabile in una materia estremamente delicata, in cui è fondamentale il maggior contemperamento possibile tra le opposte esigenze del paziente da un lato (diritto ad usufruire di trattamenti sanitari correttamente diagnosticati ed eseguiti) e degli operatori sanitari dall’altro (diritto ad esplicare le proprie capacità professionali in piena autonomia, al riparo dal timore di “rappresaglie