Con riferimento alla nota sentenza n. 11504/2017 recentemente emessa dalla I Sezione della Corte di Cassazione, attenuatosi il clamore mediatico suscitato dalla portata “rivoluzionaria” della medesima, appare opportuno formulare alcune osservazioni al riguardo.
Si deve infatti preliminarmente osservare come – già a seguito delle modifiche apportate nel 1987 all’art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970 – la formulazione del medesimo risultasse la seguente: «il tribunale … dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando questo ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».
Non a caso, l’art. 156 c.c. stabilisce esclusivamente che al coniuge sia assegnato «quanto è necessario al suo mantenimento, in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato»: era pertanto fin da allora pacifica la natura assistenziale dell’assegno.
A seguito delle pronunce delle Sez. unite n. 11490 e n. 11492 del 1990, in cui prevaleva l’intento di non provocare fratture troppo profonde rispetto alle implicazioni discendenti dalla concezione “tradizionale” del matrimonio in ordine agli effetti patrimoniali dello stesso, la giurisprudenza si è orientata in maniera pressoché unanime nella direzione di garantire al coniuge economicamente più debole (la moglie, di solito) la prosecuzione del tenore di vita di cui godeva (o di cui avrebbe potuto godere) in costanza del vincolo – elemento questo non rinvenibile in punto di diritto -, avendo riguardo esclusivamente alle condizioni economiche dell’altro coniuge. Ciò anche a causa di una impropria commistione tra la fase decisionale relativa all’ an e quella, successiva ed eventuale, relativa al quantum della erogazione, con l’ulteriore conseguenza di “riportare in vita”, quanto agli effetti patrimoniali, un rapporto estinto sotto ogni altro aspetto.
A distanza di quasi tre decenni da tali statuizioni, correttamente la I sezione ha ritenuto di doversene discostare per fare luogo ad una più evoluta concezione dei rapporti matrimoniali, con riferimento ai principi di libertà ed auto-responsabilità che dovrebbero improntare il modo di relazionarsi qualora sia venuta meno la vita di coppia. Ciò anche alla luce dei Principi elaborati dalla Commission on European Family Law: la regola generale, a cui dovrebbe conformarsi l’ordinamento europeo, è quella in base alla quale dopo il divorzio ciascun coniuge deve provvedere ai propri bisogni (p. 2.2 dei ricordati «Principi»).
Attendiamo ora di riscontrare la possibile introduzione di numerosi ricorsi tendenti a modificare le pattuizioni patrimoniali già assunte in forza delle pronunzie legate alla precedente interpretazione giurisprudenziale, ovviamente troppo presto ora per immaginare la concreta portata di tale mutamento,
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