Con la recente ordinanza del 18 settembre 2024 n. 25131, la Suprema Corte ha fatto chiarezza sull’utilizzabilità ai fini probatori delle comunicazioni di posta elettronica non certificate, quindi prive di sottoscrizione “qualificata”.
Nel caso di specie, il ricorrente (amministratore di una società) conveniva in giudizio il proprio commercialista lamentando la mancata tempestiva comunicazione, da parte di quest’ultimo, dell’esito negativo di un ricorso proposto dinanzi la competente commissione tributaria regionale, ciò che aveva precluso la possibilità di presentare ricorso per cassazione.
Il resistente, da parte sua, depositava nel giudizio instaurato presso il Tribunale una scrittura firmata dal ricorrente ed una e-mail attestanti il proprio adempimento riguardo agli obblighi di informazione nei confronti della controparte; il Giudice di prime cure rigettava la domanda risarcitoria avanzata.
Anche la Corte di Appello, adita dal soccombente, si pronunciava per il rigetto.
Successivamente, dinanzi alla Corte di Cassazione, il ricorrente invocava l’inversione dell’onere della prova sostenendo che, avendo disconosciuto più volte la comunicazione e-mail indirizzatagli, “… la stessa avrebbe perso ogni valenza probatoria, non essendo la controparte riuscita a provare di averla effettivamente inoltrata, per cui sarebbe rimasto sfornito di prova l’adempimento degli obblighi professionali di informazione e sollecitazione da parte del professionista”.
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso complessivamente infondato.
Infatti, il Collegio ha ribadito che “… in merito al valore da attribuire alle comunicazioni inviate mediante posta elettronica semplice, i principi desumibili dalla legge sono pochi e semplici, e possono così riassumersi: (a) il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma “semplice” è un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c.; (b) se non ne sono contestati la provenienza od il contenuto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate; c) se ne sono contestati la provenienza od il contenuto, il giudice non può espungere quel documento dal novero delle prove utilizzabili, ma deve valutarlo in una con tutti gli altri elementi disponibili e tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità, immodificabilità”.
Tanto chiarito, la Corte ha altresì sottolineato che il titolare di un indirizzo e-mail ne è responsabile, in quanto “… deve controllare che la ricezione della posta non sia bloccata e che i messaggi non siano finiti nella spam, rimanendo nella sua responsabilità la mancata conoscenza di un messaggio che gli sia stato regolarmente inviato e del quale non abbia preso conoscenza per il malfunzionamento della sua casella di posta elettronica o perché finito nella spam”.
In altri termini, si richiede a chi riceve messaggi di posta elettronica correttamente indirizzati di tenere un comportamento attivo e vigile, non essendo sufficiente limitarsi a negare di aver ricevuto alcunché, proprio in considerazione delle caratteristiche intrinseche a tale modalità di trasmissione, ricordate con chiarezza e semplicità dal Giudice di legittimità.