Con ordinanza dell’11 dicembre 2023, la III Sezione civile della Corte di Cassazione ha richiamato l’attenzione su un importante aspetto relativo all’applicazione delle linee guida in materia sanitaria.
Il caso sottoposto all’attenzione dei Giudici di merito, consistente nell’aver eseguito un intervento chirurgico particolarmente invasivo, per di più in modo inesatto, preferendolo ad una tipologia di più recente applicazione ma dimostratasi più efficace, aveva portato a formulare due valutazioni di colpa nei confronti del medico specialista: un primo profilo attinente ad imprudenza, un secondo ad imperizia.
Chiamata a pronunciarsi, la Suprema Corte ha ricordato che: “nell’ipotesi d’imprudenza non è applicabile l’articolo 2236 c.c., e la limitazione della responsabilità alla colpa grave non opera …”; inoltre, nel caso di specie “… quanto alla mancata adozione della tecnica a quel tempo non ancora recepita dalle linee guida, questa sì opzione in tesi imperita, deve ricordarsi che questa Corte ha ripetutamente escluso sia una rilevanza normativa delle linee in parola, sebbene siano un parametro di accertamento della colpa medica sia, soprattutto, una generale rilevanza “parascriminante” delle stesse che non assurgono al rango di fonti di regole cautelari codificate, non essendo ne’ tassative ne’ vincolanti …”.
In ogni caso, esse non possono mai prevalere “… sulla libertà del medico, sempre tenuto a scegliere la miglior soluzione per il paziente” (sottolineatura aggiunta).
Ricorda infine la Corte come “… il giudice delle leggi, con la sentenza n. 295 del 2013, abbia chiaramente specificato che la limitazione di responsabilità ex articolo 3, comma 1 della cd. Legge Balduzzi (nel perimetro indicato) trovi il suo invalicabile limite nell’addebito di imperizia – giacché le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole di perizia – e non anche quando l’esercente la professione sanitaria si sia reso responsabile di una condotta negligente e/o imprudente” (Cass., 09/05/2017, n. 11208).
In definitiva, deve ribadirsi come, soprattutto in una materia così delicata come quella avente ad oggetto la salute (quando non la vita stessa), il paziente debba essere il “soggetto” a cui prestare le cure più adeguate e non l’oggetto da “inquadrare” in parametri asetticamente individuati.