Il Tribunale di Roma, con una recentissima pronuncia dell’11 dicembre 2023 (sent. n. 18155 – Giudice Dott. Cisterna), ha evidenziato con estrema chiarezza i doveri che incombono sulle strutture sanitarie, da un lato, e su chi voglia agire giudizialmente nei confronti delle stesse, dall’altro, per il risarcimento dei danni originati dalle infezioni contratte in occasione di un ricovero.
Richiamata la giurisprudenza di legittimità (Cass. 24 gennaio 2023 n. 2042), il Giudice rileva che “Il precipitato di questo principio al caso di specie si concretizza nell’onere per il paziente di provare la contrazione dell’infezione in ambiente ospedaliero secondo i consueti parametri del criterio temporale, topografico e clinico, mentre è onere della struttura dimostrare l’inevitabilità (la prevedibilità è data come scontata secondo una certa frequenza statistica) del contagio o la sua provenienza allogena per una precedente colonizzazione del paziente stesso. Laddove, invece, ad agire siano iure proprio – come nel caso di specie – i conviventi del paziente l’intero onere probatorio ex art. 2043 Cc si trasferisce sugli attori i quale devono allegare la prova della condotta colpevole, del nesso causale e della correlazione eventistica”*.
In particolare, il fatto che “i temi probatori della responsabilità contrattuale (art.7, comma 1, Legge 24 del 2017) ed extracontrattuale (art. 2043 Cc) tendano in concreto a convergere non altera i connotati propri di quest’ultima (si pensi alla prescrizione quinquennale) e non esonera gli attori dalla dimostrazione della derivazione causale del danno da una condotta colpevole della Struttura (quantunque pericolosa) tenendo presente che la causalità va correlata non esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma anche all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica)…”*.
L’inevitabile conclusione è la seguente: “Quanto alla domanda per responsabilità extracontrattuale (Cass. 9 luglio 2020, n.14615) proveniente da tutti gli attori secondo i dedotti rapporti di parentale e il vincolo di coniugio, la stessa deve essere rigettata”. Nel solco delle precedenti pronunce del Tribunale di Roma, infatti, “Il ragionamento (conforme a quello della citata ordinanza del 21.9.2021) è semplice: la circostanza che la Struttura non abbia prodotto la prova del corretto adempimento delle proprie obbligazioni di sicurezza sanitaria non equivale a ritenere, nel versante della responsabilità extracontrattuale, che sia stata allegata e prodotta la prova della condotta colpevole della medesima Struttura con riferimento al periodo di insorgenza dell’ICA”*.
Tutto ciò, non senza aver evidenziato i precisi, stringenti obblighi a cui le strutture sanitarie devono conformarsi affinché il proprio operato sia esente da censure: “Ciò che è quindi esigibile non è la registrazione pedissequa e ossessiva delle azioni di tutto il personale sanitario, ma la documentazione pragmatica delle attività svolte sul campo e i risultati di auspicata implementazione ottenuti. La struttura sanitaria, in rapporto alla gestione dei pazienti e del loro ambiente, ha pertanto l’obbligo di attuare la prevenzione e il controllo delle infezioni nosocomiali, adeguandosi alle più moderne regole di igiene del tempo, cioè: 1. verificare l’applicazione delle linee guida attraverso operatori seriamente formati, 2. applicare equilibrati sistemi di controllo dei risultati, 3. attuare un intervento attivo e tempestivo di stewardship antimicrobica delle ICA. Le procedure ed i Protocolli hanno lo scopo di fissare precise regole e individuare le responsabilità organizzative”. Tale esigenza, tuttavia, “… non può certo prevedere la obbligazione del risultato di assoluta sterilità ambientale raggiunta nell’Ospedale ovunque e comunque …”*.
In definitiva, coloro che agiscono per ottenere un risarcimento iure proprio possono (e devono) attivarsi per l’ottenimento delle prove: “Era onere degli attori iure proprio allegare e dimostrare le circostanze di cui si discute attivandosi per l’ammissione di mezzi di prova (finanche ex art. 210 Cpc in direzione dei casi di infezione nel medesimo reparto, della dimostrazione delle attività di sanificazione ect.) che potessero dar prova, persino presuntiva, del mancato rispetto degli obblighi di cui si discute. Il fallimento della prova liberatoria, sul versante dell’inadempimento contrattuale, non equivale a ritenere soddisfatto l’onere probatorio su quello extracontrattuale”*.
In considerazione dell’elevatissimo numero di giudizi aventi ad oggetto le conseguenze di infezioni contratte in ambiente ospedaliero (che, si ricordi, sono prevedibili ma non sono comunque prevenibili al 100%), non può non apprezzarsi la puntuale ricostruzione operata dalla pronuncia in oggetto sullo “stato dell’arte” in materia.
* sottolineatura aggiunta