Con questo recentissimo pronunciamento, la Suprema Corte ha proseguito nel solco della sua più recente giurisprudenza per affermare come, di per sé, non possa escludersi il diritto al risarcimento ad un soggetto, parente della persona scomparsa per colpa di un evento lesivo quale il sinistro stradale, in assenza di un rapporto di convivenza tra i medesimi. Nella suddetto ordinanza la Suprema Corte ha affermato che, se da un lato va ovviamente evitato il rischio di un ingiustificato ampliamento del novero dei soggetti legittimati a richiedere ed ottenere un risarcimento, dall’altro, tuttavia, non può “condividersi l’assunto che il dato esterno ed oggettivo della convivenza possa costituire elemento idoneo di discrimine e giustificare dunque l’aprioristica esclusione, nel caso di non sussistenza della convivenza, della possibilità di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto”. La medesima decisione rileva inoltre come debba andarsi oltre il ristretto ambito della sola “famiglia nucleare”, basata sui coniugi, genitori e figli, per valutare ed approfondire quei rapporti ove le relazioni affettive o di reciproca solidarietà siano effettivamente sussistenti e veritieri.
Per questo motivo, quindi, l’ordinanza, nell’escludere che la convivenza costituisca “il connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali” od anche “il presupposto dell’esistenza del diritto in parola», la individua altrimenti come “elemento probatorio utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur».
Ciò anticipato, la vicenda sottostante alla pronunzia esaminata vedeva agire in giudizio per il risarcimento del danno collegato ad un sinistro stradale, a cui conseguiva la morte di un pedone, intentato dai nipoti del medesimo. Respinta in primo grado la domanda dal Tribunale di Velletri sulla scorta della individuata esclusiva responsabilità del pedone, la Corte di Appello rigettava l’impugnazione sulla base della diversa motivazione afferente alla carenza di legittimità della proposizione della medesima in quanto, affermata la “non convivenza” dei nipoti con la vittima, i ricorrenti non avrebbero avuto per questo alcun diritto risarcitorio da rivendicare. La sentenza era quindi impugnata in Cassazione dai nipoti i quali, viceversa, rappresentavano dinanzi la Suprema Corte come il “dato esterno ed oggettivo della convivenza” non possa assurgere a criterio escludente il diritto di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale per la lesione del rapporto parentale.
Dalla premessa si comprende quindi il condivisibile ragionamento della Cassazione per la quale, una volta soddisfatta la rigorosa prova “degli elementi idonei a provare la lamentata lesione e l’entità dei danni” prova necessaria ad evitare la suddetta dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati, sia ben possibile rivendicare il risarcimento del predetto danno non patrimoniale. Al riguardo era richiamato il precedente ove venne riconosciuto il legame parentale tra zio e nipote indipendentemente dalla effettiva convivenza (Cass.civile n.28989/2019) come circostanza che può giustificare l’adozione di “meccanismi presuntivi” adottabili «ai fine di apprezzare la gravità o l’entità effettiva del danno, attraverso «il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino) secondo una progressione che, se da un lato, trova un limite ragionevole nell’ambito delle tradizionali figure parentali nominate, dall’altro non può che rimanere aperta alla libera dimostrazione della qualità di rapporti e legami parentali che, benché di più lontana configurazione formale (o financo di assente configurazione formale: si pensi, a mero titolo di esempio, all’eventuale intenso rapporto affettivo che abbia a consolidarsi nel tempo con i figli del coniuge o del convivente), si qualifichino (ove rigorosamente dimostrati) per la loro consistente e apprezzabile dimensione affettiva e/o esistenziale”
Diversamente la sentenza impugnata, la quale “assegnando rilievo dirimente, nel senso di escludere a priori la legittimazione degli attori/appellanti in ragione del solo dato della mancanza di un rapporto di convivenza, si pone in una prospettiva diametralmente opposta” conseguendone l’accoglimento del ricorso che ha visto quindi cassare la sentenza di appello con “rinvio alla Corte di Appello di Roma con diversa composizione”.
Si ritiene, conclusivamente, come questo precedente, che rafforza ulteriormente gli analoghi principi già precedentemente affermati dalla Corte, sarà coltivato come utile fondamento per la proposizione di giudizi risarcitori aventi ad oggetto situazioni analoghe a quella trattata.