Consenso informato: la Cassazione torna a fare chiarezza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28985 depositata l’11 novembre 2019, ha compiuto una accurata ed esaustiva analisi delle caratteristiche  che contraddistinguono il c.d. “consenso informato”, che nel corso degli anni ha finito per costituire una parte assai rilevante del contenzioso in tema di responsabilità sanitaria.

Premesso come ormai sia pacifico nella giurisprudenza di legittimità il concetto secondo cui “… la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione sanitaria costituisce esercizio di un autonomo diritto soggettivo all’autodeterminazione proprio della persona fisica … che – se pure connesso – deve essere tuttavia tenuto nettamente distinto – sul piano del contenuto sostanziale – dal diritto alla salute …“, i Giudici della III Sezione rammentano quanto deciso dalla Consulta in materia: “… il consenso informato si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’articolo 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli articoli 13 e 32 Cost. …  La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 Cost. pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale …” (Corte Costituzionale, sentenza 23.12.2008 n. 438).

Conseguentemente, quindi, il medico “… è tenuto, in ogni caso, a rendere edotto il paziente, indipendentemente dalla riconducibilità o meno di tale attività informativa ad un vincolo contrattuale o ad un obbligo legale, trovando titolo il dovere in questione nella qualificazione “illecita” della condotta omissiva o reticente, in quanto violativa di un diritto fondamentale della persona, e dunque da ritenere “contra jus”, indipendentemente dalla sussunzione del rapporto medico-paziente nello schema contrattuale o del contatto sociale, ovvero dell’illecito extracontrattuale …”.

Riconosciuta l’autonomia dei due tipi di condotta illecita (omessa informazione da un lato e trattamento terapeutico dall’altro) nonché la diversità degli interessi in gioco, la Corte precisa che “… la relazione medico-paziente si caratterizza per la unitarietà del rapporto giuridico articolato in plurime obbligazioni tra loro poste in nesso di connessione strumentale, in quanto tutte convergenti al perseguimento del risultato della cura e del risanamento del soggetto, sicché non può affermarsi … – una assoluta autonomia delle fattispecie illecite (per omessa informazione e per errata esecuzione del trattamento terapeutico), tale da escludere ogni interferenza delle stesse nella produzione del medesimo danno-conseguenza, bene essendo – invece – possibile che anche l’inadempimento della obbligazione avente ad oggetto la corretta informazione sui rischi-benefici della terapia venga ad inserirsi tra i fattori “concorrenti” della stessa serie causale determinativa del pregiudizio alla salute, dovendo, pertanto, riconoscersi alla omissione informativa una astratta capacità plurioffensiva, in quanto potenzialmente idonea a ledere distinti interessi sostanziali, rispettivamente, il diritto alla autodeterminazione ed il diritto alla salute – entrambi, quindi, suscettibili di reintegrazione risarcitoria, laddove sia fornita la prova che dalla lesione di ciascuno di tali diritti siano derivate specifiche conseguenze dannose”.

Infatti, proseguono i Giudici, “… la domanda di risarcimento danni per violazione del diritto alla autodeterminazione, in materia di responsabilità sanitaria, può, in astratto, avere per oggetto tanto il danno biologico conseguito ad un intervento inesattamente eseguito, quanto “altri e diversi” danni di natura non patrimoniale – non incidenti sulla capacità psicofisica – o di natura patrimoniale”. Ancora più in dettaglio, “… nel caso in cui alla mancanza di preventivo consenso consegua soltanto un “danno biologico” (perché soltanto questo danno viene allegato e dimostrato dal danneggiato), ai fini dell’accertamento della causa immediata e diretta di tale danno-conseguenza, deve essere indagata la relazione che viene ad istituirsi tra inadempimento dell’obbligo di acquisizione del consenso informato del paziente ed inesatta esecuzione della prestazione professionale, dovendo accertarsi quale sarebbe stata la scelta compiuta dal paziente se correttamente informato:

se il paziente, qualora fosse stato compiutamente informato dei rischi prevedibili derivanti dal trattamento, avrebbe comunque prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento …, l’inadempimento dell’obbligo informativo viene ad esaurirsi in una fattispecie autonoma priva di conseguenze dannose, e pertanto detta omissione non solo non può concorrere ma neppure costituire mero presupposto del “danno biologico” …, quindi, in assenza di altre specifiche tipologie di danni-conseguenza allegati e dimostrati dal danneggiato, all’accertamento della omissione informativa non consegue alcun (ulteriore) obbligo risarcitorio, non inserendosi la violazione del diritto alla autodeterminazione nella serie causale originata, invece, esclusivamente dall’inesatto adempimento della prestazione professionale da cui è derivato il danno biologico …

se il paziente, debitamente informato, avrebbe, invece, rifiutato di sottoporsi al trattamento sanitario, l’atto medico successivo viene a palesarsi come lesione personale arrecata “contra nolentem” e l’effetto negativo per la salute scaturente dalla inesatta esecuzione della prestazione (danno biologico) viene a costituire danno-conseguenza riferibile “ab origine” alla violazione … del diritto di scelta contraria del paziente (scelta da ricostruire ora per allora mediante giudizio controfattuale), configurandosi la prestazione sanitaria inesatta come condotta illecita susseguente violativa, al tempo stesso, della presunta volontà contraria e del diritto alla salute …”.

In conclusione, “… Il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, pur necessario ed anche se eseguito “secundum legem artis”, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, dovrà conseguire alla allegazione del relativo pregiudizio ad opera del paziente, riverberando il rifiuto del consenso alla pratica terapeutica sul piano della causalità giuridica ex articolo 1223 c.c. e cioè della relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione – perfezionatosi con la condotta omissiva violativo dell’obbligo informativo preventivo – e conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso di regolarità causale.

Il paziente che alleghi l’altrui inadempimento sarà dunque onerato della prova del nesso causale tra inadempimento e danno, posto che:

  1. a) il fatto positivo da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico;
  2. b) il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla scelta soggettiva del paziente, sicché la distribuzione del relativo onere va individuato in base al criterio della cd. “vicinanza della prova”;
  3. c) il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di necessità/opportunità dell’intervento operata dal medico costituisce eventualità non corrispondente all'”id quod plerumque accidit”.

Tale prova potrà essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni, queste ultime fondate, in un rapporto di proporzionalità diretta, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione, non potendosi configurare, “ipso facto”, un danno risarcibile con riferimento alla sola omessa informazione, attesa l’impredicabilità di danni “in re ipsa” nell’attuale sistema della responsabilità civile“.

Deve conclusivamente ritenersi il provvedimento sopra riassunto abbia il merito di aver esaustivamente specificato i termini della questione che, già in passato, la Suprema Corte aveva esaminato fornendo interpretazioni sostanzialmente in linea con l’attuale, ultima, pronunzia.