La I Sezione civile della Suprema Corte, con l’ordinanza n. 19155 del 17 luglio 2019, ha confermato l’orientamento secondo il quale anche gli strumenti di comunicazione, ormai di uso quotidiano, quali la posta elettronica e lo short message service costituiscono mezzi di prova a tutti gli effetti.
In particolare, i c.d. SMS rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 2712 c.c., in quanto rappresentativi di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti: qualora il contenuto di un messaggio non sia oggetto di contestazione, da parte di colui contro il quale è prodotto in giudizio, esso “… forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate …” *. Anche in presenza di un disconoscimento, tuttavia, non si verificano gli stessi effetti previsti dall’art. 215 c.p.c., 2° comma, relativi alla scrittura privata; infatti, mentre “… in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata …”, in altre ipotesi “… non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni …” *.
Inoltre, nel disconoscere un documento, non può farsi ricorso ad una generica contestazione. Si ribadisce infatti che “… il disconoscimento, da effettuare nel rispetto delle preclusioni processuali, anche di documenti informatici aventi efficacia probatoria ai sensi dell’articolo 2712 c.c., deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta”.
Dunque, se nel caso di documenti scritti l’assenza di firma, oppure la sua non autenticità, risolve la questione nel senso di renderli inutilizzabili, i moderni strumenti informatici, che per le loro caratteristiche sono riconducibili ad un soggetto preciso, saranno oggetto di valutazione da parte del giudice.
* Cass. 5141/2019