Con la recentissima sentenza SS.UU. n. 22404/2018 del 13 settembre 2018, la Suprema Corte è intervenuta sulla possibilità o meno di convertire la domanda giudiziale avente ad oggetto una fattispecie di inadempimento contrattuale in un’altra, riguardante l’indebito arricchimento.
La vicenda: un professionista conveniva in giudizio un ente pubblico (Comune di Chiavasso) chiedendone la condanna al pagamento di quanto dovuto per l’espletamento di un incarico di progettazione. L’ente eccepiva la nullità della delibera di conferimento dell’incarico e conseguentemente l’attore, nel termine stabilito per il deposito della memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., proponeva, in via subordinata, domanda di indennizzo per arricchimento senza giusta causa in ordine alla prestazione eseguita. Il Tribunale di Torino, accertato l’inadempimento da parte del committente, accoglieva la domanda di pagamento presentata dal professionista.
A seguito di gravame proposto dal soccombente, la Corte di Appello di Torino riformava la decisione di primo grado e, dichiarata la nullità della delibera di incarico, rigettava la domanda di pagamento dichiarando altresì l’inammissibilità di quella (successiva) di indebito arricchimento, qualificata come “nuova”.
Gli eredi dell’appellato impugnavano per cassazione la sentenza di secondo grado, deducendo due motivi, il primo dei quali attinente alla ritenuta nullità della delibera di assegnazione dell’incarico ed il secondo relativo alla dichiarata inammissibilità della domanda di indebito arricchimento.
La seconda Sezione, in considerazione dei mutamenti giurisprudenziali succedutisi, rimetteva la questione alle Sezioni unite che hanno ritenuto di dover attribuire rilievo al recente orientamento espresso con la sentenza n. 12310 del 2015, resa sempre a Sezioni Unite, in cui si valorizza l’aspetto “sostanziale” delle vicende processuali, rispetto a quello che riteneva l’impossibilità di operare una “trasformazione”, da adempimento contrattuale ad arricchimento senza giusta causa, attesa la differenza ontologica delle richieste sottostanti (nel primo, pagamento del corrispettivo; nel secondo, l’indennizzo), nonché degli elementi costitutivi delle relative fattispecie (petitum e causa petendi).
E’ dunque possibile modificare la domanda formulata, con la memoria di cui all’art. 183 c.p.c. comma 5, anche nei suoi elementi costitutivi a condizione che “… tali domande ineriscano alla medesima vicenda sostanziale sottoposta all’esame del giudice e rispetto alla quale la domanda modificata sia più confacente all’interesse della parte”. Nel caso di specie, “entrambe le domande proposte (di adempimento contrattuale e di indebito arricchimento) si riferiscono indubbiamente alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale; sono attinenti al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale (pur se, nell’una, come corrispettivo di una prestazione svolta e, nell’altra, come indennizzo volto alla reintegrazione dell’equilibrio preesistente tra i patrimoni dei soggetti coinvolti); sono legate da un rapporto di connessione “di incompatibilità”, non solo logica ma addirittura normativamente prevista, stante il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento, ai sensi dell’articolo 2042 c.c., e tale nesso giustifica ancor di più il ricorso al simultaneus processus”.
Ciò con evidenti ed importantissimi riflessi in ordine ai principi di economia processuale e ragionevole durata del processo (si pensi al rischio di una duplicazione delle azioni giudiziali).
Alla luce di tali considerazioni, il principio di diritto formulato con la sentenza 22404 resa a Sezioni Unite dalla Suprema Corte è il seguente: “E’ ammissibile la domanda di arricchimento senza causa ex articolo 2041 c.c. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quella inizialmente formulata“.
La sentenza in commento rende quindi definitivamente chiaro il contorno in cui collocare la domanda risarcitoria per il creditore della Pubblica Amministrazione, rendendo sicuramente giustizia a tutti quei casi in cui i procedimenti di conferimento di incarichi a professionisti o di contratti commerciali con le imprese si siano svolti senza il rispetto delle formalità che ne regolamentano l’azione, ma che, al contempo, sono consapevolmente ovviati dagli stessi Funzionari della P.A. per rendere spedita l’azione della stessa. Senza, tuttavia, che le controparti private, in special modo se piccole imprese che hanno rapporti di correntezza di fornitura o professionisti per prestazioni di non particoare rilievo, siano a conoscenza della normativa che impone alla ripetuta P.A., l’adozione di provvedimenti formali quali ad esempio la deliberazione di copertura delle spese od un contratto assunto dalla competente Direzione successivo ad una deliberazione dell’Ente, conseguendone, in assenza, la nullità assoluta del rapporto e l’inidoneità del medesimo a fondare l’azione contrattuale per il privato. Restando, tuttavia aperta in caso di procedimento giudiziale, la domanda subordinata di indebito arricchimento ex art.2041 c.c. nel corso del medesimo procedimento, con evidente notevole risparmio di tempi e costi per il medesimo, come appunto in precedenza riferito.