Presupposti ed applicazione della nozione di giudizio controfattuale in materia di colpa medica

Con la recentissima pronuncia n. 45399 dell’11 dicembre 2024, la Corte di Cassazione ha nuovamente sottolineato l’importanza di una corretta applicazione del giudizio controfattuale (“… l’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione (la condotta antigiuridica tenuta dell’imputato), ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza”), in particolar modo nella materia – delicatissima – della responsabilità civile sanitaria.

Ciò implica preliminarmente l’accertamento di quanto avvenuto in concreto (c.d. giudizio esplicativo): “… è dunque indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato evitato o differito”; infatti, secondo l’elaborazione giurisprudenziale “… solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della malattia è possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto”.

Le Sezioni unite, con la celebre pronuncia n. 30328/2002 (Franzese) hanno quindi formulato i principi di diritto a cui ancora oggi si conforma la giurisprudenza: “… il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Non è però consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile”; concetti ulteriormente sviluppati in seguito (Sez. U, n. 38343 del 24.04.2014).

Principi di cui non è stata fatta corretta applicazione nella fattispecie sottoposta all’attenzione della Suprema Corte: “… la logica della decisione appare largamente insoddisfacente laddove, nella sostanza, per dare risposta al quesito “da quale momento poteva pretendersi dai sanitari intervenuti, in presenza di un fenomeno patologico ingravescente, l’effettuazione di mirati accertamenti diagnostici”, i giudici hanno condiviso il ragionamento adottato dai periti, sintetizzabile nella formula “prima si interviene e meglio è”, di per sé generico, carente e, come tale, inidoneo a fondare un serio giudizio controfattuale e, ancora prima, ad individuare con cognizione di causa il comportamento alternativo lecito che avrebbe dovuto essere seguito dai sanitari nel caso concreto”.

In conclusione, la Corte ribadisce che per raggiungere la prova del fatto il giudice non può limitarsi a fare riferimento a criteri di mera probabilità statistica, ma deve basarsi sul criterio della probabilità logica, ovvero “la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità dell’impiego della legge statistica” rispetto al singolo evento oggetto dell’accertamento giudiziale (Sez. Unite n. 30328/2002).

In buona sostanza, il giudice deve indefettibilmente procedere ad una valutazione fondata sui fatti concretamente individuati e scevra da automatismi o apodittiche formulazioni.