Locazioni commerciali e Covid: nessuno sconto. Ma…

A dispetto di una situazione socio-economica ancora estremamente incerta, nei tribunali italiani non si registra un mutamento di indirizzo in ordine alle conseguenze del mancato versamento dei canoni di locazione relativi ad immobili commerciali.

Ad eccezione di quanto stabilito con riferimento a palestre, piscine ed impianti sportivi, nessuna norma – tra quelle contenute nei vari decreti che si sono succeduti negli ultimi mesi – prevede infatti l’eventualità di ridurre o sospendere i versamenti da parte dei conduttori (che vengono a trovarsi sempre più in difficoltà nel fronteggiare le scadenze periodiche), ma soltanto la possibilità di sospendere gli sfratti.

Pertanto, alla luce di quanto stabilito dall’art. 1467 c.c., l’unico rimedio rimane quello ordinario della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta: tale rimedio, tuttavia, potrebbe non essere rispondente agli interessi del locatario ma addirittura, in concreto, rivelarsi ancor più lesivo dei medesimi, comportando l’obbligo di corrispondere per intero i canoni di locazione arretrati.

Tutt’al più, il giudice potrebbe decidere di invitare le parti a concordare una rinegoziazione del canone mensile, dal momento che la legge contempla la preventiva pattuizione in tal senso.

Del resto, la normativa inerente alle misure emergenziali non fa venir meno l’obbligo di corrispondere i canoni, consentendo soltanto di valutare la condotta del debitore nel senso di escluderne la responsabilità a fronte di  un ritardo nel pagamento.

In un solo caso, ad oggi, un giudice ha dimostrato grande sensibilità alla tematica in questione: con ordinanza del 27 agosto 2020, la Dott.ssa Pasqualina Grauso del Tribunale di Roma ha infatti disposto “… la riduzione del canone di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio 2020 e del 20% per i mesi da giugno 2020 a marzo 2021; si rileva al riguardo che, anche dopo la riapertura dell’esercizio commerciale, l’accesso della clientela è contingentato per ragioni di sicurezza sanitaria”.

Ciò in quanto “… qualora si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, quale quella determinata dalla pandemia del Covid-19, la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi della esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.)”.

Da tali considerazioni il giudicante fa discendere la conclusione che “… sorge, pertanto, in base alla clausola generale di buona fede e correttezza, un obbligo delle parti di contrattare al fine di addivenire ad un nuovo accordo volto a riportare in equilibrio il contratto entro i limiti dell’alea normale del contratto”.

Una riflessione conclusiva si impone. La locazione di natura commerciale si basa in fondo su una semplice equazione: Tizio utilizza il bene di Caio non per diletto ma per svolgere un lavoro, una attività nei relativi locali oggetto della locazione, i quali, si presuppone ed è evidente, non hanno per Caio analogo interesse. Pertanto, ove l’attività commerciale di Tizio, qualsiasi essa sia, abbia un’interruzione od un decremento per cause totalmente indipendenti tanto dalla capacità imprenditoriale del medesimo che da situazioni che lo interessino soggettivamente, cause di forza maggiore come quelle drammatiche che attengono alla presente emergenza sanitaria, si ritiene contrario al senso etico che dovrebbe essere sotteso a quello giuridico ritenere le stesse ininfluenti sulla corrispettività, per così dire, delle prestazioni in gioco. Deve quindi  annotarsi con particolare favore questa coraggiosa interpretazione del Tribunale romano e del Giudice estensore del provvedimento sopra richiamato, auspicandosene una attenta considerazione da parte delle altre Corti italiane.