Lo Stato è tenuto ad indennizzare i cittadini vittime di atti violenti in modo equo ed adeguato

Con la recentissima sentenza emessa il 16 luglio 2020 nel procedimento C-129/19, la Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea ha puntualizzato che i cittadini di uno Stato membro dell’Unione, vittime di un reato intenzionale violento, hanno diritto ad un indennizzo da parte del medesimo Stato, qualora l’autore del reato non possa essere individuato o condannato al risarcimento.

La questione trae origine dall’interpretazione (a dir poco restrittiva) data dal Governo italiano riguardo alla Direttiva 2004/80/CE nella quale si contemplava, nell’ambito dei sistemi di indennizzo da istituirsi in ciascuno Stato membro a favore delle vittime di un crimine, la previsione di una specifica tutela per coloro che si trovassero in uno Stato diverso da quello di residenza al momento del fatto.

Con l’approvazione della legge 7 luglio 2016, n. 122 (dopo ben 36 anni), lo Stato italiano si è conformato agli obblighi derivanti dalla suddetta Direttiva, prevedendo il diritto all’indennizzo nei confronti delle vittime di reati violenti, ed altresì stabilendo i relativi importi: “a) per il reato di omicidio, nell’importo fisso di euro 7.200, nonché, in caso di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, nell’importo fisso di euro 8.200 esclusivamente in favore dei figli della vittima; b) per il reato di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante della minore gravità, nell’importo fisso di euro 4.800; c) per i reati diversi da quelli di cui alle lettere a) e b), fino a un massimo di euro 3.000 a titolo di rifusione delle spese mediche e assistenziali”.

Nel 2005 ad una donna, cittadina italiana residente in Italia, veniva riconosciuto un risarcimento di Euro 50.000 in quanto vittima di violenza sessuale ma, essendo latitanti gli autori del reato, tale somma non veniva mai corrisposta.

Nel 2009 la donna citava in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri “… al fine di far dichiarare la responsabilità extracontrattuale della Repubblica italiana per non avere correttamente e integralmente attuato gli obblighi derivanti dalla direttiva 2004/80, in particolare l’obbligo previsto dall’articolo 12, paragrafo 2, della stessa”. Nel 2010 il Tribunale di Torino accoglieva la richiesta e condannava la Presidenza del Consiglio al pagamento della somma di Euro 90.000. Il provvedimento veniva impugnato e, nel 2012, la Corte d’Appello di Torino riformava in parte la sentenza, riducendo l’importo ad Euro 50.000.

La Presidenza del Consiglio proponeva ricorso per Cassazione, deducendo, tra l’altro, che “… la direttiva 2004/80 non è fonte di diritti direttamente azionabili da un cittadino dell’Unione nei confronti del suo Stato membro di residenza, essendo essa riferibile unicamente alle situazioni transfrontaliere e finalizzata ad assicurare l’accesso delle vittime di un reato intenzionale violento commesso nel territorio di uno Stato membro diverso da quello della loro residenza alle procedure di indennizzo previste nello Stato membro di consumazione di detto reato”.

Il Giudice del rinvio, rilevando due criticità nella fattispecie in esame, sottoponeva alla Corte europea altrettante questioni pregiudiziali:

“ [1) S]e – in relazione alla situazione di intempestivo (e/o incompleto) recepimento nell’ordinamento interno della [direttiva 2004/80], non self executing, quanto alla istituzione, da essa imposta, di un sistema di indennizzo delle vittime di reati violenti, che fa sorgere, nei confronti di soggetti transfrontalieri cui la stessa direttiva è unicamente rivolta, la responsabilità risarcitoria dello Stato membro, in forza dei principi recati dalla giurisprudenza della CGUE (tra le altre, sentenze “Francovich” e “Brasserie du Pecheur e Factortame III”) – il diritto [dell’Unione europea] imponga di configurare un’analoga responsabilità dello Stato membro nei confronti di soggetti non transfrontalieri (dunque, residenti), i quali non sarebbero stati i destinatari diretti dei benefici derivanti dall’attuazione della direttiva, ma, per evitare una violazione del principio di uguaglianza/non discriminazione nell’ambito dello stesso diritto [dell’Unione europea], avrebbero dovuto e potuto – ove la direttiva fosse stata tempestivamente e compiutamente recepita – beneficiare in via di estensione dell’effetto utile della direttiva stessa (ossia del sistema di indennizzo anzidetto).

[2)] Condizionatamente alla risposta positiva al quesito che precede[,] se l’indennizzo stabilito in favore delle vittime dei reati intenzionali violenti (e, segnatamente, del reato di violenza sessuale, di cui all’art. 609-bis [del codice penale]) dal decreto del Ministro dell’interno 31 agosto 2017 [emanato ai sensi del comma 3 dell’art. 11 della legge 7 luglio 2016, n. 122 (…)] nell’importo fisso di euro 4.800 possa reputarsi “indennizzo equo ed adeguato delle vittime” in attuazione di quanto prescritto dall’art. 12, par. 2, della direttiva 2004/80”.

Dopo un’accurata disamina della Direttiva 2004/80, la Corte ha risolto tutti i motivi di dubbio.

Preliminarmente, il fatto che sia stato corrisposto alla vittima un indennizzo (pari ad Euro 4.800) non incide sull’oggetto del procedimento principale, teso “… a far condannare la Repubblica italiana al risarcimento del danno che l’interessata afferma di avere subito a causa dell’inadempimento, da parte di tale Stato membro, dell’obbligo di trasporre in tempo utile l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80”.

In merito all’applicabilità del regime di responsabilità extracontrattuale nei confronti di uno Stato membro per violazione del diritto dell’Unione, “… secondo la giurisprudenza costante della Corte, ai singoli lesi è riconosciuto un diritto al risarcimento dei danni causati da violazioni del diritto dell’Unione imputabili a uno Stato membro purché siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma di diritto dell’Unione violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata e che sussista un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito da tali singoli”.

Alla luce di quanto previsto dall’art. 12 , par. 2 della Direttiva “… fatto salvo quanto ricordato al punto 29 della presente sentenza, e sempre che siano soddisfatte le altre condizioni previste dalla giurisprudenza richiamata al punto 34 della presente sentenza, un singolo ha diritto al risarcimento dei danni causatigli dalla violazione, da parte di uno Stato membro, del suo obbligo derivante dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, e ciò indipendentemente dalla questione se tale singolo si trovasse o meno in una situazione transfrontaliera nel momento in cui è stato vittima di un reato intenzionale violento”.

In secondo luogo, con riguardo all’adeguatezza del sistema forfettario previsto dall’ordinamento italiano in materia, viene dato atto che i singoli Stati membri godono di un certo margine di discrezionalità. Conseguentemente, l’indennizzo “… non deve necessariamente garantire un ristoro completo del danno materiale e morale subito dalla vittima”. Tuttavia, esso non può e non deve consistere in un importo “… puramente simbolico o manifestamente insufficiente”.

Pertanto, “… un indennizzo forfettario concesso alle vittime di violenza sessuale sulla base di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non può essere qualificato come «equo ed adeguato», …  qualora sia fissato senza tenere conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime, e non rappresenti quindi un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito”.

Deve conclusivamente ritenersi come sia davvero poco comprensibile ritenere equo un risarcimento di Euro 4.800,00 per la vittima di violenza sessuale, per riferirsi al caso in questione, ciò dovrebbe far molto riflettere sul senso profondo di insicurezza in cui viviamo ed, in particolare, in cui molte donne quotidianamente si trovano a vivere.